Imprenditore nel settore dei beni strumentali. Professore di economia internazionale. Presidente della Fondazione Fiera Milano. Vicepresidente della Fondazione Alcide De Gasperi.
Senatore, presidente della Commissione Difesa del Senato della Repubblica. Oltre agli incarichi attuali, Giampiero Cantoni, milanese, ha un cursus honorum di primissimo livello. È stato vicepresidente del Mediocredito Centrale.
Presidente dell'Istituto Bancario Italiano, di Efibanca e della Banca Nazionale del Lavoro. Ha pubblicato numerosi libri di scienze economiche e proprio prendendo spunto dal suo ultimo volume, appena uscito nelle librerie, Sviluppo e stabilità, edito da Spirali, "L'Impresa" ha parlato con lui della situazione e delle prospettive dell'Italia.
Come uscire dalla crisi, alla luce dei nostri 150 anni passati?
Ci sono tre priorità.
Primo, una riforma istituzionale che dia più potere all'esecutivo e proponga una legge elettorale più selettiva. L'obiettivo è il medesimo: che siano sempre più i cittadini a scegliere chi li rappresenta e li governa. Secondo, una riforma fiscale, basata sul federalismo.
Occorre un sistema che renda la riduzione del carico fiscale permanente. Quindi federalismo fiscale e aliquote su base regionale. In tutti i Paesi occidentali la questione fiscale è il tema elettorale centrale.
Terzo, la riforma della giustizia, che dia rapidità e certezza al diritto, sia in campo penale che civile. È un punto cruciale per lo sviluppo e la credibilità del Paese.
Si torna a parlare di liberalizzazioni.
Come ripensare il rapporto fra Stato e mercato?
Dietro al principio "meno Stato, più società" c'è un'"antropologia positiva". Si va oltre il vecchio schema lanciato da Hobbes, in cui lo Stato serve a proteggere gli uomini da se stessi. Bisogna pensare, al contrario, che nelle società evolute le persone riescono a organizzarsi da sole per soddisfare la maggior parte dei propri bisogni.
È la lezione di Adam Smith riattualizzata al tempo delle follie finanziarie. Impararla è cruciale per avere una duratura coesione sociale nel lungo periodo. Ora, però, bisogna guardare avanti e spingere l'acceleratore sulla crescita.
"Meno Stato, più società" equivale a maggior competitività. Ma non può crederci solo il governo. È fondamentale l'impulso dei corpi sociali, delle imprese e dei sindacati.
Con la logica del conflitto continuo, una ripresa duratura è impossibile. In questo contesto, le liberalizzazioni (più libertà d'impresa, servizi pubblici locali liberi ed efficienti) sono il volano per il nuovo rapporto tra Stato e mercato.
Il federalismo, fiscale e non, aiuterà lo sviluppo?
Sì.
Dalla Svizzera al Canada, il federalismo è stato storicamente un grande propellente dello sviluppo economico. Ha consentito, all'interno di uno stesso territorio, una competizione istituzionalizzata e leale fra sistemi normativi e fiscali. L'impianto di base del sistema fiscale italiano è ancora quello disegnato quarant'anni fa, e riflette una realtà sociale ed economica che oggi non esiste più.
In tutta Europa ci sono tasse locali che finanziano direttamente le spese locali, solo in Italia non succede. Questo aspetto porta con sé due benefici rilevanti. Il primo è il contenimento della spesa corrente, per effetto del federalismo fiscale.
Il secondo è la lotta all'evasione fiscale. Un'azione vincente nel contrastare l'evasione può essere condotta solo con la partecipazione dei Comuni.
Occorrono una nuova etica e nuove regole per la finanza come sostiene nel suo recente libro?
Credo proprio di sì.
Occorre costruire una vera e propria "etica della finanza". L'etica che si coniuga con l'economia, come antidoto contro l'illegalità, per combattere la povertà e sviluppare e applicare al meglio il principio di solidarietà tra generazioni: questa è anche l'attualità straordinaria della "Caritas in Veritate", l'enciclica sociale ed economica di Papa Benedetto XVI. L'enciclica stigmatizza lo scandalo delle clamorose disuguaglianze causate da corruzione e illegalità, malattie sociali che generano malessere e ingiustizie, che indeboliscono la salute morale e civile di un popolo.
Che lezione ci ha dato la crisi?
La crisi ha dimostrato come i tradizionali strumenti di regolamentazione a livello macroecomico siano insufficienti e sia necessaria una riforma che affronti il rischio sistemico, attraverso la trasparenza assoluta sulle attività degli intermediari finanziari e un nuovo disegno della regolamentazione su banche e gestori degli investimenti. In tal senso si sono mossi l'Amministrazione Usa di Obama e il Governatore della Fed Bernanke, che puntano su quattro linee d'azione: 1) identificare le banche con un'importanza sistemica per sottoporle a controlli più rigorosi del normale; 2) controllare e rendere trasparente tutta l'industria finanziaria; 3) introdurre nuove regole per il sistema finanziario; 4) concentrare il controllo del rischio sistemico sotto un'unica autorità, la Fed. La creazione di un'Autorità bancaria europea (suddivisa in tre principali aree di supervisione), operativa da gennaio 2011, in linea di principio fornisce le possibili basi per un processo centralizzato di valutazione in tutta Europa, e rappresenta la risposta alla riforma del sistema finanziario e alle nuove regole approvate negli Usa.
Come potrà il sistema finanziario italiano essere più efficiente e competitivo?
Il sistema del credito italiano ha retto meglio alla crisi finanziaria, che ha toccato in modo più acuto le banche americane, anglosassoni ed europee. Gli istituti italiani non hanno avuto bisogno di interventi pubblici di salvataggio, come è accaduto all'estero, anche se negli anni passati è comunque cresciuto meno di altri. In Italia le banche sono state la naturale controparte di un tessuto produttivo e sociale solido.
Come mostra un recente rapporto della Banca d ' I t a - lia, nel c o n - f r o n t o internaz i o n a l e l'indebitamento del complesso delle famiglie italiane rimane basso, molto inferiore rispetto a Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna, per non parlare degli Stati Uniti. Questo non significa che le performance del nostro settore bancario siano confortanti. Il tasso di crescita dei crediti in sofferenza è aumentato a quasi il 30% a dicembre 2010, rispetto al 23% del 2009.
È importante che il sistema bancario rafforzi il patrimonio. Secondo un recente rapporto di Mediobanca, per adeguarsi ai più stringenti requisiti patrimoniali previsti dalla riforma di Basilea III, i sette principali istituti bancari italiani dovrebbero raccogliere oltre 22 miliardi di euro.