Dopo aver consegnato al Paese una “lenzuolata” di liberalizzazioni che perlopiù introducono e non aboliscono regolamentazioni inutili, Pierluigi Bersani ha lanciato l’idea di una Bicamerale per completare il percorso, cioè per trovare un significato bipartisan al verbo liberalizzare. Mi verrebbe da dirgli: troppo facile. Troppo facile chiedere il consenso dell’opposizione su riforme economiche che il governo non può fare da solo, perché è diviso non in due ma in tre. La sinistra estrema, che le riforme le blocca per definizione. E le due facce del nascente partito democratico, Margherita e Ds, pronte a sommergersi vicendevolmente di veti, per dimostrare che c’è sempre qualcuno più riformista degli altri.
La politica economica è il cuore del governare. C’è una buona politica economica, e una cattiva politica economica, ma - comunque sia - sta a chi è al governo prendersene le responsabilità, e realizzare il programma pattuito con gli elettori. A dire il vero, l’esito davvero dubbio delle ultime votazioni avrebbe consigliato, sin dall’inizio della legislatura, di impegnarsi in un (breve) percorso condiviso. Una grande coalizione alla tedesca, con un programma severamente limitato (che includesse la riforma della legge elettorale per garantire maggiore governabilità), che centrasse i suoi obiettivi e poi riconsegnasse il Paese agli elettori. Non è stato così, e anzi l’esecutivo guidato da Romano Prodi ha messo in campo un unilateralismo, nelle grandi scelte, davvero senza precedenti.
Hanno preso tutto. Non si può ora chiedere che l’opposizione vada a sopperire la mancanza di coesione della maggioranza. Neanche se si sventola la parola magica “liberalizzazioni”. Soprattutto perché una maggioranza come questa non può che fare liberalizzazioni di maniera. E non raccoglierà mai la sfida lanciatale da Silvio Berlusconi, in una bella intervista col Sole 24 Ore, di liberalizzare sul serio.
Mi pare del resto che serpeggi in Italia una visione errata del quadro politico, che sostanzialmente vede la possibilità di fare le riforme vincolata ad un superamento del bipolarismo. Sarebbe un gigantesco errore. L’Italia proporzionalista degli anni della prima repubblica era quanto di più impermeabile all’innovazione istituzionale si sia mai visto. Siamo stati un Paese stabile, e stabilmente statalista. Solo la discesa in campo di Berlusconi ha aperto le finestre. Imperfetto quanto si vuole, il nostro bipolarismo è meglio dell’alternativa, che curiosamente oggi viene accarezzata in nome del libero mercato quando appena ieri era cara, carissima, soprattutto a chi (in prima battuta, penso all’Udc di Pier Ferdinando Casini) faceva di tutto per inibire ogni slancio in direzione del mercato.
Ho alcuni amici fra gli studiosi ed i politici che promuovono l’iniziativa dei “Volenterosi”. Dal loro incontro dello scorso lunedì, sono venute buone proposte. Credo sia positivo che si formino dei nuovi “luoghi” della politica, nei quali discutere con pacatezza, al di là degli steccati, di ciò che si può fare per risollevare questo nostro Paese in declino. Ma mi spaventa l’idea un po’ salottiera di un grande centro liberalizzatore. Non vorrei che gli amici “Volenterosi” finissero per diventare “Velleitari”. Il grande centro è per tradizione la camera di compensazione di interessi divergenti. E’ dove le differenze si annullano, e si tira a campare per non tirare le cuoia, come riconosceva Giulio Andreotti. Non è di lì, insomma, che può incominciare un sentiero di riforma. Grande coalizione, allora si può provarci sul serio.