Meno restrizioni per i parrucchieri, benzina al supermercato, obbligo per le assicurazioni di non assumere agenti in esclusiva. Se queste sono le nuove liberalizzazioni di Pierluigi Bersani, la montagna ha davvero partorito il topolino.
Per non annoiare il lettore, mi limito a tre considerazioni.
Primo, il ministro dell'Industria Pierluigi Bersani, che pure stimo, pare non essere interessato a smentire il sospetto di relazione impropria con le cooperative, che aleggia sui rappresentanti del governo. Il momento più eclatante del suo “decreto” dello scorso luglio era coinciso con l'arrivo nella grande distribuzione dei farmaci da banco. Il punto apicale di questo nuovo round di provvedimenti liberalizzanti è l'arrivo al supermarket della benzina. Provvedimenti utili? Sì, anche se non è da interventi dall'impatto ridotto come queste che passa il rilancio della competitività del Paese.
Secondo punto, si tratta di liberalizzazioni che beneficiano il consumatore ma colpiscono i lavoratori autonomi. In occasione del recente convegno dedicato da Astrid al ddl Lanzilotta per la liberalizzazione dei servizi pubblici locali, Mario Monti ha espresso l'auspicio che le liberalizzazioni non fossero più l’esclusiva di quello che ha scherzosamente definito il “cartello” dei riformisti, ma che incarnassero una volontà condivisa. E questa si verifica quando c’è un bilanciamento di interessi in una transizione soffice, capace di compensare i "perdenti". Insomma, Monti sperava che il governo non facesse il forte coi deboli e magari, concertando, riuscisse a convincere quanti detengono rendite di posizione comunemente considerate intoccabili (i sindacati, per esempio) a rinunciarvi. Condivido. I prodiani però fanno tutto il contrario. Colpiscono selettivamente gli elettori degli altri. Può andar bene liberare i panettieri dalle troppe restrizioni al loro lavoro (come fatto nello scorso luglio), oppure lasciare che i parrucchieri possano aprire anche il lunedì (così dice il Bersani-bis). Ma è questa la politica che immaginiamo per il rilancio del Paese? E, soprattutto, in un’Italia che è il regno dei monopoli pubblici ed ex-pubblici, una seria politica di apertura al mercato può cominciare dal phon e dalla michetta? Non ci sono signori un po’ più importanti, nell’economia del Paese, e maggiormente protagonisti di manovre volte a limitare la concorrenza, da rincorrere per primi?
Terza considerazione. Impedire alle assicurazioni di stipulare contratti in esclusiva non è una liberalizzazione. E' una violazione della libertà contrattuale di attori privati in concorrenza. Non solo: significa anche sottrarre lavoro a tanti promotori part time (studenti o pensionati, spesse volte), per lasciarlo solo ai “professionisti”. Le assicurazioni sono sempre impopolari, e per ottime ragioni. Ma l’Italia è ancora il quarto mercato assicurativo d’Europa. E uno dei pochi settori in cui abbiamo una eccellenza, Generali, che tutto il mondo ci invidia. In nome di una bizzarra idea di “concorrenza”, perché dobbiamo andare ad introdurre limitazioni e vincoli ad un mercato che c’è e funziona?
Un altro esempio. Abolire d'imperio il costo di ricarica dei telefonini non è una liberalizzazione. E' interferenza nella libertà di mercato, che è libertà di prezzi. Giù la maschera. Questo governo non è liberista. Al massimo è "consumerista". E ho paura che il consumerismo sia un'ideologia con tante controindicazioni…