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Alitalia vada, Malpensa resti

13/02/2008- Panorama Economy n. 7

In un'Italia che muore per carenza organica di infrastrutture, che cosa fa il management pubblico? Ce n’è una che funziona, è in chiara tensione di crescita. Va senz’altro sostenuta attraverso il miglioramento della rete stradale. Ma almeno c’è. Qualcosa di buono c’è. Va male la compagnia di bandiera, anzi malissimo. E allora come ci comportiamo? Invece di chiudere Alitalia, per farla durare, si uccide Malpensa. Sarebbe come provocare la chiusura dell’Autostrada del Sole perché è fallita la compagnia di trasporti su gomma.
Di che cosa sto parlando? Dei numeri che seguono. Dal primo aprile, i voli di Alitalia in partenza da Malpensa si ridurranno da 360 a 105. Non c’è stato bisogno di aspettare Air France per mettere a repentaglio la stessa sussistenza dell’aeroporto milanese come hub, cioè come perno di un sistema di trasporti e non come stazione di posta delle diligenze. Air France, se va come sta andando, non è altro che la prosecuzione con altro marchio di quanto già stabilito da Maurizio Prato, cioè dal manager piazzato lì dal governo Prodi. L’amministratore delegato di Alitalia cita a proprio sostegno il risparmio fatto segnare razionalizzando il piano dei voli. In realtà la logica è quella del si salvi chi può, del mors tua vita mea. Ma se questa scelta uccide Malpensa come si fa a non ribellarsi? E’ ormai evidente che il bene dell’Italia ed in particolare del suo Nord non coincidono proprio con i presunti interessi di Alitalia. Mi premono due considerazioni.
La prima, riguarda la posizione della Regione Lombardia. A dispetto di alcune semplificazioni giornalistiche, Roberto Formigoni non ha mai chiesto di fermare la privatizzazione della compagnia, o di mettere il denaro dei contribuenti in un’altra compagnia pubblica, anche se “del Nord”. La Regione aveva semplicemente chiesto di contrattare e negoziare l’uscita di Alitalia da Malpensa. Cercare cioè di rallentare nel tempo la cessione degli slot, così da poter gestire al meglio la transizione.
La seconda considerazione parte da questo punto, e ci porta al ruolo dell’hub lombardo. Noi viviamo in un Paese nel quale l’insufficienza penosa delle infrastrutture nel campo dei trasporti  è una anemia che può portare alla morte del sistema Paese, al Nord come al Sud. Le risorse che abbiamo a disposizione per costruirne di nuove sono limitate, ed è probabile che nei prossimi anni, se si tornerà all’apertura dei cantieri, vi sarà un’intensa concorrenza politica fra le diverse Regioni per appropriarsi dei fondi opportuni. La questione infrastrutturale è destinata a dividere il nostro Paese come una frattura più profonda di tutte quelle che abbiamo conosciuto in passato; proprio perché lo scenario di finanza pubblica è quello che è, e la scarsità dei fondi costringerà a fare delle scelte. Scelte dolorose, se pure verranno mediate dalla politica.
In questo contesto, assistere ad un così radicale ridimensionamento di Malpensa è una ferita che brucia - e brucia soprattutto per una parte del Paese (la Lombardia, ma anche tutto il Piemonte e il Canton Ticino), che a Malpensa si attiva come punto di partenza per raggiungere il mondo. E’ giusto che Alitalia pensi al suo load factor, ad ottimizzare (finalmente) la gestione degli aerei, a ridurre le perdite e, auspicabilmente, a fare profitti. E’ importante (l’abbiamo scritto tante volte) che i fallimenti imprenditoriali della compagnia di bandiera non vengano riversati sulle spalle del contribuente. Nel contempo, però, non si può lasciare una delle aree più dinamiche del Paese senza un aeroporto internazionale degno di questo nome. Perché significa aumentare ancora di più i costi (non solo monetari, ma anche in termini di tempo) per tutte le imprese che animano quell’area.
La teoria economica ci insegna che ogni “transazione” fra individui ed imprese ha dei “costi”. Questi “costi di transazione” si aggiungono alle transazioni di per sé, rendendole più difficoltose e meno immediate. Compito dello Stato è ridurre il più possibile tali costi. Per questo bisogna costruire autostrade, fare in modo che il traffico scorra veloce, assicurare che la rete ferroviaria sia efficiente, avere aeroporti che funzionano. Per consentire alle imprese di creare più speditamente e con meno difficoltà, ricchezza.
Ora la Lombardia dovrà mettersi in condizione di ripartire presto, allocando gli slot non più a un monopolista fallimentare come Alitalia, ma ad imprese che sappiano ben gestire anche il rapporto col territorio. Ma quante occasioni sono andate perse, a causa della svolta improvvisa di Alitalia? Troppe. Occorre rimediare.