Non è facile parlare di Guido Carli, per chi ha avuto la fortuna di stargli vicino, come a me è capitato in lieta sorte. Non lo è neanche così tanti anni dopo la sua morte. Capita di commuoversi, e dicono non sia bene tra economisti. Ma è necessario. Il perché lo ha ben spiegato un suo illustre successore, il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, in occasione della presentazione dei sei densi volumi dell’opera omnia di Carli, da parte dell’Associazione che porta il suo nome.
Perché Guido Carli resta, oggi, una figura così rilevante? Probabilmente perché come nessun altro esponente della classe dirigente italiana, egli riusciva a esprimere al meglio le virtù indispensabili alla modernizzazioni di questo Paese. Parlo di virtù non a caso, perché per Carli sarebbe improprio limitarsi ai “principii”. Egli non era (solo) un teorico ma (soprattutto) un operativo, un mirabile imprenditore di se stesso che metteva il proprio spirito imprenditoriale, la propria creatività, in qualsiasi mansione si trovasse a svolgere. Dall’Ufficio Cambi di Bankitalia che lo vide, giovanissimo, lavorare con Einaudi e Menichella,da Governatore della Banca d’Italia alla Confindustria, al Tesoro. Fu uno dei pochi grand commis della storia della prima Repubblica, e assieme un attentissimo studioso, e un uomo sempre pronto a mettersi a disposizione del Paese e delle persone di valore che incontrava sulla sua strada.
Il suo approccio non era “tecnocratico” ma pragmatico, attento alla realtà delle cose, capace di interpretare i mercati non come algido insieme di equazione, ma vivo interagire di persone. Anche per questo, è una figura insostituibile; e riuscì a diventare un grande protagonista della vita pubblica italiana, tra le poche personalità veramente eminenti, pronte a battersi per la modernizzazione del Paese in anni difficili.
Guido Carli era, come dicono gli americani, “one of a kind”.
In una bella pagina della storica, lunga intervista che rilasciò ad Eugenio Scalfari, parlò della “revolving door” che c’è nei Paesi del mondo anglosassone, per cui esponenti di primo piano del ceto imprenditoriale finiscono per partecipare alla vita politica in prima persona, o a lavorare in organismi con funzione di regolazione.
Perché questo non avveniva in Italia?- si chiedeva Carli. Da noi, “questi travasi darebbero scandalo” e “gli imprenditori non li sentirebbero come cosa naturale” perché “si sentono estranei all’establishment”. La fragilità dell’Italia era data dal fatto che “le due grandi parti sociali, gli imprenditori e i salariati dell’industria, non considerano lo Stato come cosa propria, ma come cosa estranea, dispensatore di servizi, di favori o di ‘ stangate’”.
Carli era l’eccezione. Pochissime figure sono state più “establishment” di lui, eppure egli partecipava alla tolda di comando del Paese essendone in un certo senso perfettamente estraneo. Era l’avanguardia di un mondo imprenditoriale e dinamico, che negli anni della Prima Repubblica non aveva accesso diretto alla cosa pubblica. Se le cose ora sono cambiate, se la nostra classe dirigente ha un volto diverso, è anche per il costante impegno di Carli.
Ce ne sarebbe di cose da dire, e sarebbe giusto farlo, perché di individui straordinari come Carli non va persa memoria, e non è giusto che le nuove leve ne abbiano testimonianza solo dai busti in bronzo, dalle aule d’università a loro dedicate, da tributi istituzionali e scontati.
Carli è tra di noi, come ha ben intuito Draghi. Fra di noi per le persone che ha formato ed educato, fra di noi per le cose che ha detto e ciò che ci ha insegnato.
Il Governatore si è chiesto cosa avrebbe pensato Carli della crisi in cui ci troviamo. Avendo avuto l’onore di una prefazione di Draghi, al mio “Le innovazioni nel sistema economico e finanziario”, sono ritornato di recente a quel testo. Scriveva Carli: “una delle manifestazioni della innovazione finanziaria è la produzione degli strumenti medianti i quali si trasferiscono i rischi da un operatore all’altro; si trasferiscono, non si eliminano; l’assuntore di ultima istanza sono e restano le autorità”.
Da questa breve citazione, è chiaro che Carli aveva visto più avanti di tanti altri, un autentico profeta non per doti mistiche, ma perché sapeva sottomettere la ragione teorica all’esperienza: non solo aveva compreso come il fenomeno della “ripartizione” del rischio fra più operatori fosse da alcuni punti di vista una grande innovazione, e in quanto tale benefica, in grado (come è avvenuto, in effetti) di consentire l’accesso ai capitali a moltissime persona. Ma era anche pienamente consapevole dei problemi: il rischio viene “traslato”, ma non scompare. E il ruolo delle autorità monetarie non può venire meno. Per fortuna: se il tracollo finanziario non è accaduto è proprio per il buon esercizio di questo ruolo esercitato in Europa e dai governi (in particolare il nostro).