less normal plus print rss
ITA | ENG

Il cantiere delle emozioni

17/02/2010- Panorama Economy - Controvento

Assistere all'apertura dei cantieri della Pedemontana lombarda, lo scorso sabato, è stata un'esperienza emozionante. L’emozione non derivava soltanto dalla consapevolezza della necessità funzionale di quest’opera, ma dal partecipare a un evento dove gli uomini osano in vista del futuro, in vista di un bene più grande che non sono solo quattro conti su un foglio.
Da quanti anni si parla di quest'opera essenziale? Da quanto tempo restava al palo? : Quarantacinque anni Stiamo parlando di una infrastruttura essenziale per abbassare i costi del fare impresa in Lombardia e, per estensione, nel Nord Italia. La previsione dei tecnici è tagliare di un terzo i tempi di percorrenza fra Bergamo e Malpensa. Ma soprattutto di evitare l’impatto su Milano di tutto il traffico che da Nord punta verso Est e viceversa. Con ricadute positive per tutto quel triangolo che ha in Varese, Bergamo e Milano i suoi vertici. Un'area straordinaria per capacità produttiva ed impatto sulla nostra economia, da cui esce una percentuale non irrilevante del nostro PIL. Un'area che per anni è andata avanti a crescere e a produrre in condizioni infrastrutturali che è caritatevole definire pietose. Non bastano, s'intende, le buone strade a fare la buona imprese. Ma la buona impresa con le buone strade lavora meglio, più veloce, ci mette di mano a connettersi coi mercati, ad avvicinare la sua offerta alla domanda dei consumatori.
Perché mi sono emozionato, all'apertura dei cantieri? Perché l'Italia è stata per anni il Paese del non fare. Immobilizzata dai veti. Strangolata da una burocrazia per cui dal progetto alla delibera del CIPE passavano anni interi. Un Paese viziato da una profonda incertezza del diritto (ne parlavamo la settimana scorsa, su queste colonne), ferale per business ad alta intensità di capitale come la costruzione di infrastrutture. E un Paese retto da una classe dirigente dalla vista corta, abituata a dispensare sussidi a gruppi elettoralmente vivaci, e non a traguardare il lungo periodo, investendo nel bene del Paese.
La politica berlusconiana dei grandi cantieri e delle grandi infrastrutture non è quella di Keynes. Keynes arrivava al punto di auspicare che si aprissero e si chiudessero buche, per tamponare la disoccupazione. La sua idea dell'economia era un'idea statica, nella quale i disequilibri del mercato sono evitati dall'intervento dello Stato come “grande stabilizzatore”, che sopperisce alla scarsità del capitale privato laddove serve. Ma serve all'occupazione, non al progredire dell'economia. Keynes, di certo geniale, non aveva però a cuore il progresso merceologico e tecnologico, l'innovazione di processo e di prodotto, insomma quelle caratteristiche che fanno sì che le imprese siano sempre, in ogni condizione, proiettate verso il futuro per soddisfare i bisogni dei consumatori.
Berlusconi, che è un imprenditore, ragiona diversamente. E pensa che l'economia sociale di mercato consista nel cercare di volta in volta gli strumenti più efficienti affinché i mercati non siano distorti, e le imprese possano svilupparsi nel modo più efficiente e più lineare. Le infrastrutture servono ad abbassare i costi di transazione, quindi a rendere più agevole per le aziende produrre, scambiare, beneficiare di manodopera qualificata, esportare. Un guadagno di mezz'ora sui tempi con cui da Bergamo si raggiunge Malpensa non è poca cosa, per chi deve caricare camion di manufatti che debbono prendere un aereo, per raggiungere i mercati di destinazione. Quella mezzora risparmiata è una mezzora guadagnata.
In questo suo pensare il governo come un partner, e non come un “estorsore” della libera impresa, Berlusconi non poteva trovare un alleato migliore di Roberto Formigoni. Politico lungimirante, Formigoni ha cambiato il volto della Lombardia, dimostrando che la scelta carismatica di un governatore può essere lo strumento privilegiato per cambiare le cose, per investire sulla qualità. Prima e dopo la Pedemontana, la Lombardia resta il grande cantiere della nostra speranza.