È comprensibile che l’annuncio di Berlusconi, quella voglia fortissimamente sua di tornare sul terreno di gioco cominciando dal fisco, venga preso dalla stampa con un po’ di scetticismo. Quando il premier parla delle due aliquote, è inevitabile che si finisca preda di un certo déjà-vu. E non hanno torto coloro che sostengono che la riforma fiscale sia l’eterna incompiuta della seconda repubblica, e quindi del berlusconismo che l’ha segnata: la attendiamo da sedici anni, da quel disastroso dicembre del 1994 in cui avvenne il “ribaltone”.
Le ragioni degli scettici sono facili da comprendere. Tuttavia, hanno torto. Credo sia evidente che questa volta Berlusconi sul fisco vuole mettere tutte le sue fiches. Quanto sia serio nelle sue intenzioni, l’ha dimostrato scegliendo come interlocutore, sul tema, il quotidiano che meno lo ama: cioè Repubblica. Nessuno consegnerebbe nelle mani del nemico una promessa che non intende mantenere, per vedersela sventolare sotto gli occhi in futuro. Inoltre, non si può sottostimare quanto, in questi anni, sia profondamente cambiata l’opinione pubblica italiana. Nel 1994, la teoria delle due aliquote convinceva un pugno di economisti, che scrivevano alla meglio su “Il Giornale”. Erano pochi, coraggiosi liberisti, sopravvissuti alla bell’e meglio a quarant’anni di “egemonia”. Il mondo è cambiato, qualcosa si è mosso. Quindici anni fa Berlusconi tentò di modernizzare un Paese la cui classe dirigente desiderava disperatamente di restare ancorata al passato: lo prese per matto o per sedizioso, e lo boicottò come poteva. Oggi, quella stessa classe dirigente spinge il Cavaliere e il governo verso una “fuga in avanti”.
Una cosa è certa: se Berlusconi riformerà il fisco, lascerà indebelebile la sua firma nella storia italiana. Se lo farà con le due aliquote, una “quasi flat-tax” che sposta completamente la logica del prelievo, la sua firma sarà indelebile nella storia europea.
La logica della riforma è chiara. Abbassare la tassazione sui redditi, liberando riforme per tutti gli individui e soprattutto per le famiglie. Agevolare il risparmio, tassando di più le “cose”, cioè le spese. Questo in riconoscimento della tutela del risparmio, che è parte dei nostri doveri costituzionali. È una riforma forte, innovativa, come si vede antikeynesiana. Keynes pensava che i problemi del mondo si risolvessero spendendo. Einaudi sapeva che invece è attraverso il risparmio, che si costruisce la possibilità di investire e, quindi, per una società di crescere.
Credo sia importante che la riforma non contenga norme volte ad incidere artificiosamente sui comportamenti e sugli stili di vita. Vi sono alcuni economisti che hanno proposto (semplifico) di tassare di più il lavoro degli uomini che quello delle donne, per rendere più attraente l’occupazione femminile. Rendere possibile alle donne di lavorare e avere una vita privata e familiare nello stesso tempo è molto importante, ma l’utilizzo della leva fiscale a tale scopo è sbagliato e arbitrario.
Viceversa, abbassando le tasse sui redditi delle famiglie, anche con il quoziente familiare, cioè calcolando il reddito reale per individuo, si favorisce soprattutto la spinta a mettersi insieme stabilmente, con un beneficio sociale incommensurabile, infinitamente superiore alla diminuzione apparente di gettito proveniente dalle famiglie.