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Agenzia del debito: nella Ue la partita non è ancora chiusa

6/01/2011- Panorama Economy - Controvento

L’Italia è fortunata ad avere un ministro dell’Economia che sullo scacchiere europeo sa giocare da protagonista.
Giulio Tremonti l’ha fatto di nuovo proponendo, assieme al premier lussemburghese Jean-Claude Juncker (che è anche il presidente dell’Eurogruppo, il parlamentino dei ministri delle Finanze nell’Ue) di istituire un’agenzia di debito europea, che dovrebbe prendere il posto dell’attuale Fondo europeo per la stabilità finanziaria. La differenza fra i due organismi risiederebbe nel fatto che questa nuova agenzia dovrebbe poter emettere titoli azionari fino a un ammontare pari al 40% del Pil dì ogni Stato membro. L’obiettivo sarebbe quello di assorbire i titoli di Stato circolanti dei singoli Paesi, dando nuovo impulso e nuova affidabilità ai titoli di nuova emissione. Un colpo di genialità ma anche di saggezza che Berlusconi non vuole sia riposto in un armadio da Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, un po’ troppo nazionalisti. E vedrete che la vincerà lui...
É stato fatto notare come l’idea non sia nuova in senso stretto (le idee buone lo sono mai?) ma si debba a Jacques Delors, il grande apostolo dell’unificazione europea alla cui presidenza della Commissione si debbono molti dei sostanziali passi nella direzione del mercato unico fatti fra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta. Ci sono però delle differenze. Delors pensava a emettere debito pubblico europeo per finanziare le grandi infrastrutture necessarie a rendere l’Europa un mercato comune non solo sulla carta. Tremonti e Juncker puntano invece sulla necessità di un sostegno europeo al debito pubblico, per scongiurare la crisi in atto. È stato osservato che si tratterebbe di una proposta a vantaggio degli Stati a rischio — e per questo sgradita ai tedeschi, che invece temono soprattutto che le garanzie implicite ed esplicite al debito sovrano degli Stati membri creino azzardo morale e mettano a repentaglio in ultima analisi la finanza pubblica dei Paesi sani. Cioè, della Germania stessa.
In realtà, come ha ben evidenziato Lorenzo Bini Smaghi, è difficile valutare appieno gli effetti spillover del fallimento di uno o più Stati europei. I miei amici liberisti vorrebbero che uno o più Stati venissero fatti fallire, così da evitare di dare l’impressione che l’Europa sia diventata un distributore di paracaduti. C’è del senso in questa tesi, perché la creazione di azzardo morale è sempre pericolosa. La crisi del 2007-2008 affondava le proprie radici proprio nell’azzardo morale, nell’idea che le grandi banche non potessero fallire. La percezione di essere invincibili porta a prendere rischi eccessivi: è vero per i privati, è vero per i governi. Il problema però è che non sappiamo che effetto a catena susciterebbe la ristrutturazione del debito in uno o più Paesi membri. L’idea che poi si possano avere due euro equivale a un salto nel buio. C’è un rischio che non è solo economico ma anche, forse soprattutto, politico.
Da questo punto di vista la proposta di Tremonti e Juncker equivarrebbe a una straordinaria opera di stabilizzazione. Essa andrebbe infatti a introdurre un meccanismo di gestione comune di una buona quota del debito pubblico europeo, stimolando una maggiore integrazione nella gestione del mercato dei titoli di Stato. In seconda battuta, si potrebbe scambiare la restante parte di titoli di Stato (ancora nazionali) con gli eurobond, certamente con tassi di concambio diversi da Paese a Paese, ma con l’obiettivo di costruire un mercato del debito integrato. Da questo punto di vista, allora, l’Europa sarebbe come l’America. Che a casa mia significa che sarebbe non solo più unita ma soprattutto più forte. Contro le tempeste dei mercati e contro le follie dei governi nazionali.