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La strategia della ripresa

4/01/2012- Panorama Economy - Controvento

Il 2012 comincia, lo sappiamo tutti, sotto il peso di cattive proiezioni. Cioe' inizia male. Il Centro Studi Confindustria prevede che il PIL abbia crescita negativa: -1,6%. I problemi saranno concentrati soprattutto nella prima metà dell'anno. L'ultima manovra voluta dal governo Monti è stata pesante: molto pesante. L'impatto della correzione fiscale si farà sentire a inizio anno. La crisi internazionale, com'è noto, ha importanti conseguenze soprattutto sulla fiducia. L'Europa si è trascinata di summit in summit, di annuncio in annuncio, per oltre un anno. L'andamento dello spread impensierisce i risparmiatori, ma la mancanza di chiarezza circa alcune variabili macro (che cosa farà la BCE? come verranno cambiati, in concreto, i trattati?) fa sì che gli investitori restino alla finestra. La situazione non è molto dissimile da quella dell'autunno 2008. Oggi come allora, domina l'incertezza. L'incertezza mina la fiducia, che per i mercati è come l'ossigeno che rende possibile l'attività economica. Sarà un anno duro, non illudiamoci.
Ma nella seconda metà del 2012 potrebbero accendersi le prime luci della ripresa. Io ne sono convinto. I fondamentali di un Paese come l'Italia sono solidi. La classe dirigente europea ha tutto l'interesse a cercare una soluzione per la crisi in atto: una soluzione che non passi per l'annullamento dell'indipendenza della Banca centrale europea, istituzione preziosissima, e neppure per un depotenziamento dell'euro, che sino alla crisi greca - non dimentichiamocelo - si avviava ad essere una valuta di riserva globale.
Dipendiamo, è vero, dall'Europa prima che da noi stessi. Ma i civil servant italiani (Mario Monti, certo, ma anche Vittorio Grilli e molti altri) hanno tutte le caratteristiche per riuscire a rapportarsi nel modo migliore con le istituzioni comunitarie.  Le premesse le ha poste proprio l'azione di Berlusconi. Vi pare strana questa affermazione? Nel 2012 alle menti oneste sarà evidente come tante critiche rivolte a Berlusconi siano state frutto di cecita' ideologica. E si paleserà come il suo centro-destra di governo non sia stato affatto sterile, ma abbia saputo costruire una classe dirigente, che gia' oggi contribuisce in modo sostanziale e con argomenti pertinenti ad attivare lo spirito dello sviluppo, frenato da altri che pur sostengono l'attuale esecutivo.
Il governo Monti ha innanzi a sé problemi e necessità che sono note. Ha cominciato con l'amara medicina della correzione fiscale. Ho parecchie perplessità sui metodi e sulle misure di dettaglio in manovra (su queste colonne, le abbiamo già espresse). In generale, però, è difficile non ammettere che un provvedimento di quella portata fosse necessario per dare un segnale forte ai mercati e all'Europa. Ed e' stato responsabile il si del Parlamento.
Un governo come quello di Monti non può, però, limitarsi a "stangare" gli italiani. L'ampia maggioranza di cui gode, il fatto che la fiducia della popolazione sia (ancora...) forte e radicata, la benedizione del Presidente della Repubblica, l'impeccabile curriculum di ministri e sotto segretari devono condurre Monti a compiere decisioni di vasta portata. L'obiettivo deve essere portare a compimento tutti quei provvedimento per la crescita, che si arenerebbero, in altre situazioni, sotto il veto incrociato di destra e sinistra, ciascuna delle quali ha bisogno del supporto di gruppi d'interesse "elettoralmente pesanti".
Credo che l'attenzione di Monti e dei suoi debba focalizzarsi su tre priorità.
Punto primo, de-irizzare l'Italia. La stagione delle privatizzazioni nel nostro Paese ha avuto inizio, guarda caso, nel 1992: quando eravamo sotto i colpi di una crisi grave come l'attuale. Spesso tuttavia si risolse in un regalo a quel "capitalismo straccione" (definizione di Cuccia) che poi non si fece scrupoli di svendere all'estero. A livello nazionale  comunque siamo riusciti a divellere alcuni grandi monopoli, ma l'Iri si e' per cosi' dire miniaturizzato come una polvere sottile e ha coperto sotto il suo manto perverso comuni, province e regioni, con il risultato che la bassa politica domina strozzando la voglia di impresa. Le municipalizzate sono diventate terreno di gioco di leadership non attrezzate a comprendere la complessità dell'economia globalizzata. Abbiamo aziende comunali, che svolgono servizi essenziali, e che assieme sono troppo piccole per essere efficienti ma troppo grosse per essere liquidate da una classe politica che le considera preziose riserve . Monti, col suo prestigio e la sua cultura liberale, può finalmente chiudere il percorso. E - diciamolo - bloccato anche con la truffaldina iniziativa referendaria sull'acqua potabile, quasi che privatizzarne la gestione equivalesse ad avvelenare i pozzi.
Punto secondo, le liberalizzazioni. Il Presidente del Consiglio parla spesso di equità. Non c'è equità in un Paese in cui non ci sia l'eguaglianza dei punti di partenza. Nelle professioni regolate, i punti di partenza sono tremendamente diseguali: gli insider restano dentro, gli outsider vengono lasciati fuori. Le liberalizzazioni servono a ridurre i privilegi dei produttori e ad aumentare il potere d'acquisto dei consumatori, e questo ha ricadute positive per l'economia del Paese nel suo complesso. Uno dei nostri maggiori problemi è un problema di percezione: noi siamo visti come un Paese nel quale le norme non sono uguali per tutti, e c'è sempre qualcuno più uguale degli altri. Spazzare via ogni appiglio per questa semplicistica caricatura che all'estero continua ad essere, purtroppo, considerata come aderente alla verità è importante per ricominciare ad attrarre investimenti. E diventare un Paese che sa pienamente scommettere sul merito.
Punto terzo, i costi della politica. So bene che anche da parte di molti colleghi le resistenze sono grandissime. E, è indubbio, ha ragione chi dice che, per quanto costoso possa essere il Parlamento italiano, incide minimamente sulla nostra gigantesca spesa pubblica. Ma ci sono due temi. Il primo è di legittimità. Noi politici sappiamo bene che la legittimità democratica delle istituzioni è in pericolo: e bisogna dare un segnale. Questo segnale serve non per l'impatto sul deficit, ma perché i cittadini italiani ricomincino a fidarsi della politica e a considerarla una risorse. E qui - contrariamente a quanto asserito dall'antipolitica di moda - i parlamentari hanno intrapreso un processo di risparmi e trasparenza. Il secondo tema, ancora più importante, è il costo occulto della politica. Che non c'entra nulla col vitalizio dei parlamentari, ma ha a molto a che vedere col loro numero, o con l'esistenza di istituzioni "pleonastiche" come le Province, per passare alle città metropolitane. Il vero costo della politica è la rugginosità del processo decisionale: troppo lento e bizantino per essere efficace. E pertanto creatore non di fiducia, ma di insicurezza, di un'incertezza che rischia di diventare endemica. Perché se non sono chiare e certe le decisioni dello Stato, nulla lo è - anche e soprattutto in un mondo in cui le informazioni girano così rapidamente. Insomma, la riforma dell'assetto istituzionale con il suo dimagrimento e insieme il suo rafforzamento quanto a facolta' reali del premier, in un bilanciamento di poteri che non equivalga a un perenne diritto di veto, avrà un effetto sulla fiducia interna ed estera, con benefici per il sistema Paese. E questo più che compito di Monti e' quanto e' necessario facciano i partiti. Cambiare l’architettura burocratica che tira sempre il freno a mano per rallentare invece di velocizzare le procedure.
Se governo Monti e Parlamento riusciranno a mettere mano a questi tre punti, agendo nell'oggi ma guardando al domani, la ripresa sarà più vicina. E la crisi si trasformerà da angoscia in opportunità per un'Italia migliore.