Mario Monti è il più berlusconiano dei politici italiani? D'accordo. Sto provocando. Pensiamo però a quello che sta facendo il governo in queste settimane. Monti ha messo mano a una coraggiosa riforma delle pensioni, nell'ottica dell'equità inter-generazionale. Ha avviato un programma di liberalizzazioni importanti: alcune più incisive, altre meno, di certo ancora insufficienti, ma è riuscito a "comunicare" al Paese che c'è bisogno di togliere il gesso all'economia italiana. Ha aperto una consultazione sull'abolizione del valore legale del titolo di studio. Ha avviato un tavolo per la riforma del mercato del lavoro, parlando a chiare lettere di flessibilità in uscita e riforma dell'articolo 18. Ha promesso, a breve, un tavolo sulla riforma fiscale, per spostare la tassazione "dalle persone alle cose". Ha avuto anche la lealtà', sia pure alla sua maniera tiepida, di riconoscere una continuità con il lavoro del Cavaliere.
Onore al Presidente del Consiglio. Il grande George Orwell diceva che "ogni tanto, il primo dovere delle persone intelligenti è riaffermare ciò che è ovvio". Ciò che è ovvio è che l'Italia ha ancora bisogno di una grande rivoluzione liberale. La rivoluzione liberale che il centro-destra non è riuscito a compiere, e non per colpa di Berlusconi: l'impossibilità di passare dalle intenzioni ai fatti e' il limite gravissimo del nostro sistema bloccato. E ancora. Il clima di ostilità totale della macchina da guerra di media, magistratura e opposizione demonizzante. Con Berlusconi presidente del consiglio, i contenuti del suo messaggio politico non avevano importanza alcuna. I media si occupavano ossessivamente soltanto della sua persona. Le semplificazioni promosse da Renato Brunetta erano materia da pagina ventotto: se a farle è il tecnico Patroni Griffi, che proprio con lo stesso Brunetta ha lavorato in precedenza, fanno il titolo di prima pagina. Se a parlare di abolizione del valore legale del titolo di studio erano Valentina Aprea o Mariastella Gelmini (ad oggi, l'unico ministro dell'università degli ultimi anni che abbia portato un po' di merito negli atenei), la marea degli studenti tornava in piazza. Se lo fa il governo Monti, si apre una discussione pacata.
Hegelianamente, vorrei dire che Monti sarebbe impossibile senza Berlusconi. Il berlusconismo ha attirato su di se' tutti gli strali di chi non poteva tollerare la sua leadership. Eppure ora è un'agenda bipartisan, condivisa dal capo del principale ex partito d'opposizione, Pierluigi Bersani, che dice: stiamo con Monti senza se e senza ma.
Se la sinistra avesse un minimo di onestà intellettuale, dovrebbe riconoscerlo: oggi siamo tutti berlusconiani. Il centro-destra non è riuscito a portare ad applicazione la propria agenda di riforme. Non ce l'ha fatta per la reazione sproporzionata dei poteri di veto, che trovavano una sponda forse inconsapevole ma complice nell'opinione pubblica informata.
Eppure, hegelianamente direi, nulla è passato invano. Il berlusconismo avrà perso la battaglia politica, ma ha vinto quella culturale. Non sono d'accordo con un pur bravo giornalista, Pierluigi Battista, che sul supplemento culturale del Corriere della sera ha decretato la fine "dell'illusione liberale". Le parole d'ordine del nuovo esecutivo, e di chi lo sostiene, a cominciare dal Corriere, sono tutte liberali. Su Repubblica sono arrivati in prima pagina liberisti come Alessandro De Nicola e Alberto Bisin. Non voglio dire che si tratti di "berlusconiani". Ma prima di Berlusconi quelle parole d'ordine - meno tasse, meno spesa pubblica, semplificazione legislativa e regolatoria, riforma del welfare - in Italia non le pronunciava nessuno. Oggi sono la comunicazione e l'agenda di un governo che gode del consenso di tutte le maggiori forze politiche. Tolto Berlusconi, il berlusconismo diventa bizzarramente egemone. Segno che senza accorgersene anche l'odiato Berlusconi ha arato il campo: e ha preparato l'Italia per l'appuntamento con il futuro.