Possiamo fidarci delle agenzie di rating? Questa è una domanda legittima, e proveremo tra un istante a dare una risposta. Di certo però è una mossa temeraria agire come ha fatto la Procura di Trani, che ha sottoposto a perquisizioni e ha fatto presentire una azione giudiziaria nei confronti degli analisti della Standard & Poor. In questo modo, secondo ahimè una moda italiana, trasferiamo tutti i problemi sul piano giudiziario, e non è una cosa che ci accredita come Paese serio e affidabile. Magari ci fa abbassare il rating, non sulla solvibilità finanziaria, ma su quella dell'intelligenza. Torniamo a cose più serie. Vediamo. Standard & Poor's ha abbassato il rating di buona parte dei Paesi dell'Eurozona. La sospirata tripla A resta patrimonio esclusivo della Germania (per ora). Tanto è bastato a farci precipitare subito nel panico. Ma è giusto affidarsi ai giudizi di questi operatori? Una premessa. Il mercato delle agenzie di rating è, in buona sostanza, oligopolistico. Lo è per colpa del regolatore americano, la SEC, che per anni lo ha mantenuto artificialmente limitato, nella convinzione che fosse più semplice e facile regolamentare pochi grandi operatori che molti, autenticamente in concorrenza. Oggi ci sono 11 agenzie di rating, le maggiori sono tre, qualcuno è ai nastri di partenza che si sta scaldando. Qualche mese fa manifestò la sua intenzione di entrare nel mercato Kroll, il grande investigatore. Come mai le agenzie sbagliano tanto spesso? Si direbbe: perché anche i valutatori sono umani, come tutti. C'è però un problema di conflitto d'interessi. Infatti molto spesso i rating sono "solicited": cioè pagati dalle stesse imprese che vengono valutate. Non è così per gli Stati: che vengono "misurati" su parametri basati su dati pubblici e noti a tutti. Ciò detto, è opportuno che l'Europa si faccia condizionare da un pugno di analisti? No, non lo è. Più concorrenza fra agenzie di rating aiuterebbe ad avere valutazioni più sensate, soprattutto per le imprese. Per quanto riguarda gli Stati, è necessario non dimenticare mai che le valutazioni, squisitamente economiche, degli analisti faticano a comprendere che c'è un salto logico, fra aritmetica e politica. In particolar modo, per quello che riguarda Paesi ad alta fiscalità e alta spesa pubblica come quelli dell'Europa mediterranea, aspettarsi correzioni automatiche è rischioso quando non aleatorio. "Lettori" del presente che avessero contezza non solo dei valori contabili, ma delle variabili politiche che condizionano la vita pubblica italiana, sarebbero stati più clementi con il nostro Paese. E magari lo sarebbero stati meno, e non da oggi, con la Francia: Paese che ha conservato a lungo la tripla A a causa del suo rapporto debito/PIL, nella generale ignoranza circa le dinamiche politiche che ne governano la spesa e che, inevitabilmente, vanno nella direzione di una sua continua dilatazione. Insomma, i rating vanno presi per quello che sono. Non sono un verdetto del mercato, non vengono da un sistema decentrato e plurale di condivisione di informazione e conoscenza. Non sono, insomma, dei prezzi. Sono la valutazione, informata quanto si può, di singole agenzie, ovvero di singoli team di analisti. Noi leggiamo con interesse i rapporti di think tank e centri studi, ma non crediamo siano il Vangelo. Neppure i rating sono il Vangelo. Contribuiscono a spiegare un pezzo di realtà, ma non tutta la realtà. Teniamolo presente. E vediamo di ricordarci ciò che le agenzie non vedono. Sarebbe opportuno a questo punto lanciare una agenzia di rating che nasca non più sotto la tutela della SEC ma della BCE, con caratteristiche di in dipendenza e di trasparenza certificabili a sua volta. Essa, agendo senza paraocchi, vedrebbe il grande patrimonio degli italiani, che costituisce per il nostro Paese un "cuscinetto di capitale" di cui altre realtà sono sostanzialmente prive. La forza del nostro sistema di piccole e medie imprese, che ha retto l'urto della globalizzazione. La fase politica nuova in cui siamo, nella quale una concordia prima sconosciuta ci sta aiutando a fare riforme non facili (più coraggio, presidente Monti!) e che non solo l'Italia, ma anche la Francia, la Spagna, il Portogallo, per non parlare della Grecia, dovrebbero avere il coraggio di mettere in cantiere. Insomma, ai signori di Standard & Poor's abbiamo tutti i titoli per rispondere con Shakespeare: “ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio...”
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