Il governo Monti passa alla fase dei provvedimenti “voluti” e non più “dovuti”, come ha detto il presidente del consiglio. “Crescitalia” è un bel conio, direi francamente berlusconiano: racchiude l’esortazione che noi tutti ci sentiamo di rivolgere a questo nostro Paese. Ma per ora i provvedimenti che verranno presi restano avvolti nelle nebbie. La conferenza di fine anno di Mario Monti è stata una bella lezione di economia: una lucida spiegazione delle ragioni per cui siamo avvinghiati e minacciati dalla crisi. E tuttavia, sul futuro, Monti non ha voluto pronunciarsi. Per ora Monti è economista, e questo lo sapevamo; la politica oltre che pensare e dire è soprattutto fare, e qui lo stiamo aspettando.
Vale la pena dire qual è l’aspetto più positivo del metodo del premier: la fuga consapevole e voluta dalla politica degli annunci. La strategia di comunicazione di Monti è: non dire gatto finché non l’hai nel sacco. Del resto, è una lezione imparata sul campo, in queste prime settimane in cui il premier “tecnico” si è reso conto che non gli è e non gli sarà possibile prescindere dalla creazione di un vasto consenso fra i partiti. Non potrebbe essere altrimenti: sono le regole del gioco della democrazia.
Il fatto però che su “Crescitalia” il Paese sia destinato a vivere di rumors e pettegolezzi, fino al prossimo 23 gennaio, è preoccupante. E’ preoccupante per una questione di dinamica democratica: è dubbio che possa essere saggio informare prima gli altri leader europei, e poi gli italiani. Monti non è stato eletto, ma il nostro Paese non è un protettorato: è uno Stato sovrano, che partecipa convintamente al progetto europeo. ma senza assegni in bianco.
Ed è anche preoccupante per la credibilità dello stesso primo ministro. Per tornare a crescere, come non si stufa di dire l’amico Antonio Martino nelle sue orazioni alla Camera, l’Italia non ha bisogno di manovre ma ha bisogno di riforme. Le riforme sono diverse dalle manovre per tanti motivi. Uno dei più rilevanti è questo: le manovre possono essere fatte, per così dire, “in quattro e quattr’otto”. Anzi: meglio se sono fatte in quattro e quattr’otto. Esse hanno a che fare con importanti, spesso dolorose, decisioni di finanza pubblica. Ma non entrano mai nel merito di quelle decisioni in senso profondo. Si spende di meno o si tassa di più. Ma non si cambia il modo e le ragioni per cui si spende, non si rivedono gli strumenti con cui si tassa.
Le riforme incidono di fatto sulla forma di Stato. Pertanto, influenzano le aspettative di lungo periodo dei cittadini. Cambia ciò che essi si possono o non si possono aspettare da chi li governa. E’ per questo motivo che vanno comunicate, e comunicate con grande efficacia. Per fare le riforme, Monti non deve parlare alla Merkel, a Sarkozy, o alla Banca centrale europea (cui doveva dimostrare invece la serietà della sua manovra): deve parlare agli italiani, deve convincerli che bisogna cambiare passo, che se non cambiamo siamo destinati a non crescere, e se non cresciamo siamo destinati, pressoché inevitabilmente, a un declino che tutti vorremmo, sperabilmente, scongiurare.
Il governo Monti è un governo tecnico, ma è il governo di una repubblica democratica. Non dobbiamo dimenticarcene, non deve dimenticarsene il presidente del consiglio. E’ vero che la pluralità di interessi conflittuali e di opinioni divergenti che caratterizza una democrazia ogni tanto può apparire un terribile ostacolo alle riforme che servono. ma è anche vero che ogni riforma è destinata a rimanere solo sulla carta, se non passa prima il vaglio dell’opinione pubblica italiana. Un governo super partes ha lo straordinario vantaggio di poter parlare a tutti. Questo deve fare Mario Monti. Perché l’Italia torni a crescere, grazie alla determinazione e alla convinzione di tutti gli italiani.